Dalla recessione alla stagnazione L’unica cosa che i dati Istat sono stati in grado di dirci con una certa chiarezza sulla produzione industriale, è che il Paese non si arrende alla crisi. L’aumento di quasi un punto percentuale è testimone che quali possano essere le difficoltà, davvero tante, l’Italia non vuole cedere. Per il resto, un nuovo calo del Pil accompagnato da un tenue aumento dei consumi, conferma un trand dell’economia generale che non si scrosta dai suoi dati fondamentali negativi e li peggiora anche, perché se le famiglie tornano a spendere il loro livello di indebitamento aumenta. Segnale allarmante vedere che il nostro debito privato appaia quasi raddoppiato negli ultimi anni, perché il suo mantenuto basso livello era uno dei fondamentali più sani del Paese. Si capisce se allora Standang and Poor’s si sia mostrata così fredda nei nostri riguardi. Non che le agenzie di rating siano dei giudici incontrovertibili, ma in questo caso il dato sull’aumento del debito privato seguire a ruota il gigantesco debito pubblico, è tale da mettere in questione ogni possibilità di crescita autentica. Per il resto, anche coloro che sembrerebbero più inclini all’ottimismo, parlano di fine della recessione e dell’ inizio della stagnazione. Potrebbe stare per aprirsi persino un periodo peggiore di quello conosciuto finora, perché tutte le posizioni perdute verrebbero confermate come tali. Infatti nessun dato confortante c’è sull’unico che darebbe la svolta di una tendenza disastrosa, ovvero un aumento dell’occupazione. Di buono c’è che il governo tiene i piedi per terra. Padoan non si è messo a dire che la crisi è finita, anzi, spiega che bisogna fare subito le riforme. Se poi cominciassimo con quella della pubblica amministrazione che dice lui, invece che da quella del Senato di cui parla la Boschi, sarebbe meglio. In ogni caso, il timore è che in queste condizioni, le sole riforme non bastino. Soros vuole comprarsi le caserme italiane? Se fa un buon prezzo, ragioniamoci. E cosa ne è successo della questione petrolifera che riguarda noi e la Croazia? Una volta una, che Romano Prodi aveva indicato una linea davvero importante per l’Italia, nessuno se lo fila. Il premier in Asia, in un viaggio che riteniamo molto utile e sotto più punti di vista, ha detto che gli imprenditori italiani costretti a delocalizzare non vanno considerati come persi per il Paese. Vero. Ma se i nostri continuano ad andarsene a produrre altrove e nessuno altrove, viene ad investire da noi, è l’Italia che finirà con l’essere persa per loro. Veda il governo di comprendere in fretta cosa avviene in estremo oriente di tanto rilevante da consentire una crescita economica senza battute di arresto. Non vorremmo certo riprodurre le condizioni che conosciamo in Vietnam o a Shangai. Si tratta pur sempre di sistemi dittatoriali che hanno reso per decenni gli uomini schiavi. Ma non possiamo nemmeno più permetterci un mondo come il nostro, in cui la politica e le sue leggi sul lavoro erano schiave dei voleri del sindacato. Roma, 11 giugno 2014 |